Descrizione
“U PETRAMUNE ‘E MUSCO”
Conosciuto con questo nome nel dialetto locale, insieme ad altre pietre Miliari, alcuni monoliti, altri Epitaffi, delimitavano la Regia Sila Demaniale, quella parte di bosco della Sila che apparteneva al Re;
I Normanni, gli Angioini, gli Aragonesi ed infine i Borboni, tenevano a difendere e delimitare i possedimenti montani ed i privilegi ad essi connessi. Per questo motivo si premurarono di definirne i confini in modo chiaro.
Per evitare contestazioni territoriali già Roberto d’Angiò inviò in Sila due suoi delegati Giovanni Barrile e Paolo di Sorrento, per meglio stabilire i limiti della Sila Regia. Tali limiti vennero formalizzati nel Diploma del 24.12.1333, con lo stesso editto il Re Roberto D’Angiò diede il privilegio alla popolazione di Petilia di esercitare usi civici gratuiti all’interno del territorio silano.
Successivamente il 02.12.1613 il Re Filippo III di Spagna (dinastia Aragonese) diede ordine al Vicerè di disporre la compilazione di una Mappa della Sila Regia. L’Ing. Michele Cartaro fece la prima stesura della Mappa della Regia Sila insieme al Presidente della Regia Camera Sommaria Giacomo Saluzzo e dell’Avvocato Fiscale Gian Girolamo Natale.
Nel corso dei secoli, i confini furono più volte verificati e rimarcati dai Tavolari, Architetti o ingegneri nominati nella città di Napoli e dipendenti del Sacro Regio Consiglio. Essi nel Regno di Napoli avevano il compito di redigere mappe accurate, precise ed ufficiali del Territorio (come un odierno Catasto);
U Petramune ‘e Musco ricevette tre visite ufficiali da parte dei Tavolari, una sotto gli Aragonesi, e le altre due sotto i Borboni che si assicurarono che fosse ancora esistente ed integro, infatti oltre ad avere incise le lettere R.S. (Regia Sila) ha incise tre date :
1663 anno in cui il Preside del Sacro Consiglio Valero inviò un Tavolario che incise sui tre lati della nostra pietra le lettere R.S. e la data 1663, ampliando e confermando i confini rispetto a quelli definiti nel Diploma di Carlo D’Angiò;
1721 anno in cui l’Ing. Galluccio inviato dal Preside Mercader, trovò la pietra nel medesimo stato solo le lettere R.S. e la data 1663 furono reicise e venne aggiunta la nuova data 1721;
1755 anno in cui fu inviato l’Ing. Vecchioni dal Preside Buonastella, la pietra fu trovata intatta ma le lettere ed i millesimi erano corrosi dal tempo, e furono reicisi.
I confini a noi vicini sono: termine di “Omo Morto” (sotto la zona di Sparviero e sopra il fiume Tacina), vicino a questo termine si trova “Pietra Scritta” (fino alla quale il Re Roberto D’Angiò aveva dato il suo privilegio alla popolazione Petilina), da Pietra Scritta passando da Pagliarelle al Vallone di Cropa si giunge al termine detto di “Macchia del Musco” composto da una lapide, sino a giungere al Termine di “Pietra Irta” (“fra due pini vicino la strada che dal Cariglione va a Policastro”), altro termine era stato posto alla “Scansata della Menta”; un altro a “Timpone del Principe” e confina col territorio di Mesoraca, poi il termine di “Petinella”, il termine di “Macchia longa”, il termine alla “Scanzata del Gariglione”, il termine di “Piano senza alberi”, ed infine la “Pietra di DUI o LUI” nel Gariglione.
I Petilini con il diploma di Carlo D’Angiò del 24.12. 1333, avevano il privilegio di esercitare gli usi civici gratuiti semina, legnatico, pascolo ed estrazione della pece sino al termine di Pietra Scritta;
Ma nel 1400 si intensificarono le usurpazioni al Regio Demanio da parte di Baroni, ecclesiastici e privati che occuparono le terre e i boschi della Sila subirono perdite a favore di pascoli e seminativi, perciò furono costretti a difendere i confini delle loro montagne dall’invadenza dei Cosentini, dai Baglivi Regi (che erano organi amministrativi locali addetti al prelievo fiscale riscuotevano le tasse in favore del re e se nominati dal feudatario in favore di questi) e da altri privati. Questi confini sono menzionati in un memoriale seicentesco pervenutoci in copia presentato dai cittadini (Universitas) di Policastro alla Regia Camera Sommaria (che dal 1269 al 1806 fu un organo amministrativo, giurisdizionale e consultivo operante nei regimi angioino e aragonese nel Regno di Napoli).
(La Regia Camera della Sommaria esaminava i conti del regio tesoro, dei ricevitori provinciali e di tutti gli altri funzionari ai quali era affidato denaro pubblico, i rendiconti dei pubblici amministratori, i conti relativi alle imposizioni fiscali delle universitates. Di fatto, tutelava le universitates dagli abusi dei baroni e dei governatori.)
In questo memoriale si afferma che i confini entro i quali l’Universitas di Policastro poteva esercitare gli usi civici gratuitamente arrivavano sino a Pietra Scritta grazie al privilegio di Roberto D’Angiò del 24.12.1333.
La questione era sorta perché i Baglivi della Regia Sila di Cosenza e i partitari della neve turbavano e molestavano i cittadini di Petilia nel possesso di dette montagne “carcerando gli animali e gli uomini sotto il pretesto che le dette montagne fino a Pietra Irta (il ns. Petramune ‘e Musco) vadano incluse con la Regia Sila della città di Cosenza” . Questo perché i Baglivi affermavano di avere un “Instrumento” nel quale erano descritti i confini e fraudolentemente estendevano gli stessi sino a Pietra Irta.
I Policastresi facevano rilevare invece, in questi documenti il confine di Pietra Irta era stato erroneamente equivocato da detti Baglivi e Partitari con l’intento di spogliare i Policastresi dall’antica e immemorabile e legittima possessione di dette montagne Essi rivendicavano quindi che il vero confine era quello di “Pretra Scritta”(sotto Buonanotte vicino macchia dell’Arpa) come si ritrovava nel privilegio di Re Roberto e nel Decreto del 20.07.1624, del Commissario Gio: Thomaso Caludio,(decreto dove erano ben definiti i confini), documenti nei quali non si faceva nessun riferimento del confine di Pietra Irta .
Considerato tutto ciò la Regia Camera della Sommaria ordinava alla Regia Udienza di Calabria Ultra e al Governatore di Policastro di non far molestare i cittadini e l’Universitas di Policastro e “di mantenerli nel loro legittimo possesso identificato dalla menzionata confinazione ancorchè descritto nei detti privilegi, provvisioni e decreto” come erano state detenute “per spazio de molte centinara de anni che non v’è memoria de huomo in contrario” con quello di Pietra Scritta .
A riguardo dei privilegi e diritti ogni universitas nell’ambito del proprio territorio poteva esigere un pagamento da parte di affittuari dediti alla fabbricazione della pece , o esigere la quinta parte del raccolto di seminativo (Jermanu) e una parte del raccolto delle castagne.
Anche il feudatario deteneva diritti sia sui suoi possedimenti sia sui possedimenti dei comuni. E il feudatario Carlo Caraccioli figlio di Fabio Caracciolo oltre allo jus di fare la pece nera o bianca nelle montagne di Policastro possedeva la Difesa detta Destra della Serra che alcuni cittadini avevano piantato in parte obbligandosi a pagare il censo e deteneva il diritto di pascolo e la raccolta delle ghiande nonché la potestà di fidare gli animali dei padroni forestieri e di esigere la decima dei seminati che vi si facevano . In Buegensatico , cioè in piena proprietà il feudatario possedeva la difesa di Macinello e le fosse della neve.
I re e ciascun feudatario detenevano il diritti di baiulationem o bagliva . Questo diritto veniva esercitato dal re o dal feudatario attraverso un proprio ufficiale il baglivo o baiuolo. Il baglivo provvedeva a che nessuno abbattesse alberi limitando l’approviggionamento dei cittadini all’uso nelle campagne e alla copertura delle case, per l’attività pastorale il baglivo esigeva il pagamento per ogni tipo di bestiame portato a pascolare a volte erano così onerosi che generavano liti e contenziosi con le universitas (Cittadini).
I re esigevano anche il diritto di passo, per le transumanze, ed anche lo ius plateatico o dogana corrisposto da chiunque vendeva e comprava merce entro i confini della Sila Regia (una specie di IVA)
Alla fine del 700 i diritti erano divisi in tre rubriche:
- La prima comprendeva i diritti di bagliva, granetteria e neviere;
- La seconda riguardava lo ius picis;
- La terza riguardava i diritti sopra tutta la rimanente arboratura;
Altra attività in montagna fu quella delle serre, segherie. Nella parte montana di Policastro alla fine dell’800 molti toponimi facevano riferimento alla presenza di antiche segherie es.: “Serra di mastro Alberto”, “ Serra Mezzana”, “Serra di San Teodoro”. Il legname veniva trasportato con carri o verso la foce del fiume Crocchio per essere estratto dalle navi. Il legname della montagna di Policastro raggiungeva anche i porti di Castella e Crotone. Il legname delle nostre montagne fù inviato per per la fabbrica della basilica di San Pietro e Paolo, per la Reggia di Caserta, per il ponte del castello di Crotone e per la sua cinta muraria, per le chiese di Napoli e per la costruzione di navi i cui scafi venivano impermeabilizzati con la pece di nostra produzione.
Le entrate della Serra della Corte si rinvengono fra le entrate del Feudo di Policastro nella prima metà del 400, e alla morte del feudatario Antonio Centelles, passò al Demanio Regio, ancora si trova questa serra in mano alla Mensa arcivescovile di Santa Severina ceduta dall’Universitas di Policastro a seguito di transazione per le decime dovute dal paese e non pagate .