Descrizione
L’esistenza di una chiesa dedicata alla Vergine sotto il titolo della SS.ma Annunziata, si evidenzia a Policastro verso la fine del dominio angioino, quando la “ecclesiam Annuntiationis B. Mariae de Fratribus de Policastro” compare in un atto del 16 giugno 1425. A quel tempo essa si trovava “contigua” a quella sotto il titolo della “salviferae Crucis Domini”, come rileviamo in occasione della concessione dell’indulgenza ai visitatori delle due chiese nei giorni 25 marzo e 3 maggio, rispettivamente, giorno della Beata Maria e giorno della S. Croce.
Secondo quanto apprendiamo dalla tradizione relativa alla presenza francescana nel territorio, possiamo ipotizzare che la sua erezione possa essere avvenuta agli inizi del sec. XIV. Questa tradizione riferisce infatti, che dopo la divisione dell’ordine tra Osservanti e Conventuali, la chiesa sarebbe rimasta in potere di questi ultimi: “Il primo titolo di questo Monastero fù di Santa Maria de’ Frati, perche circa l’anno mille trecento venti fù fabricato dà primi frati di San Francesco; e nelle divisioni dell’ordine restò in poter de’ Conventuali”
In conseguenza del generale impoverimento che caratterizzò la vita del territorio negli ultimi decenni del Cinquecento, alla fine del secolo diverse chiese di Policastro furono unite tra di loro, così da costituire rendite adeguate a permettere una vita decorosa del clero.
In tale frangente la confraternita dell’Annunziata fu trasferita entro le mura, nella chiesa di Santa Maria “la nova” che, per tale motivo, fu detta la SS.ma Annunziata “nova”, la cui rinnovata importanza, risulta sottolineata dall’arcivescovo Alfonso Pisani, nella sua relazione del 1589 prodotta per la Santa Sede, dove definisce la “S.ma Annuntiata”, la “maggiore” tra le “confraternità” di Policastro, “ben servita di messe, e principalmente i giorni festivi con canto, et organo”.
Questo passaggio risulta evidenziato da atti notarili dei primi anni del Seicento, che individuano alcuni stabili posti nelle vicinanze della chiesa, attraverso l’indicazione: “in convicinio Ecclesie s.me Annuntiate nove ditte terre”, oppure “in convicinio s.te Marie Nove ditte terre.
STORIA
Fu detta “Chiesa dell’Annunziata la Nuova”, per distinguerla da quella dell’Annunziata “di fuori” che esisteva, una volta, fuori dal comprensorio urbano.
Reperti e testimonianze denunciano una importanza sociale della chiesa fin dall’antichità. Una tomba in chiesa conserva i resti mortali del nobile Pietro Verga. In uno scavo per la messa in sito della rete fognaria nella zona tra la chiesa e la “Cappella del Rosario “, sono stati rinvenuti negli anni 60 numerosissimi scheletri. Evidentemente le adiacenze della chiesa hanno offerto la disponibilità di scavare fosse comuni per casi di calamità naturali e pestilenze, mentre la zona effettivamente destinata a cimitero dei parrocchiani erano tre cripte scavate sotto il suo pavimento.
Davanti alla facciata principale esiste una larga piazza, giusta la tradizione urbanistica medievale di considerare la zona antistante la chiesa ed il sagrato, luogo d’incontro di proprietari terrieri e maestranze o spazio per manifestazioni popolari, o per celebrazioni di feste padronali. Lo stabile fu colpito duramente dal terremoto del 1638 e restaurato su relazione fatta al Viceré di Napoli dal consigliere Ettore Capece Latro che il governo inviò.
VALORE ARTISTICO
Il campanile fu fabbricato nel 1606. Nel 1764 fu soppressa la parrocchia dell’Annunziata di pertinenza della chiesa di San Nicola dei Greci, a quei tempi non più agibile, poi diruta e tutto fu trasferito allora come luogo di culto presso la Chiesa dell’Annunziata.
Ha facciata quadrangolare, timpano più piccolo, semplice e corrispondente all’ampiezza della navata centrale. Il portale centrale è sovrastato da un rosone ad archetti. Ha lesene scanalate concluse da capitelli misti a foglie e volute joniche, architrave a dentelli e timpano spezzato ai lati del rosone.
Il campanile, a sinistra, presenta base rastremata con arco centrale. Dal tutto si intravede l’arte di scalpellini roglianesi. L’interno ha la navata centrale molto ampia con finestroni ad unghia. La volta, a botte, è ornata da cornici, da piccoli rosoni e, al centro, dal dipinto dell’Annunciazione che rappresenta il simbolo cristiano a cui la chiesa è titolata. Al di sopra del balcone della Scola Cantorum c’è un dipinto rappresentante un angelo che legge un libro sul quale è scritto: “Laudato sì, mi Signore cum tucte le tue creature …” Le tre navate sono divise da archi a tutto sesto e pilastri quadrangolari con lesene lisce. Ai lati dell’altare maggiore due nicchie contengono sculture di gesso. A destra di chi entra vi è una conca battesimale cilindrica, oggi usata come pila per l’acqua santa, in pietra forte locale con motivi zoomorfi in rilievo; qualcuno ritiene sia più antica della stessa chiesa. Proveniente dalla vicina “Congrega”, tempietto sede una volta della Confraternita del Rosario, vi è un importante dipinto con “Madonna del Rosario e Santi”, olio su tela, dalle dimensioni di 2,45x1,40 cm.
LE CAPPELLE E LA LORO FUNZIONE SOCIALE
Una volta, unitamente al tempietto della congrega del Rosario la chiesa era residenza eletta dalla Confraternita del Rosario, oggi vi si celebra annualmente la festa della Madonna del Rosario, particolarmente venerata in Petilia Policastro. A sinistra dell’Altare Maggiore, per chi entra in chiesa, c’è l’Altare dell’Altissimo nella cappella detta del Rosario. È stato eretto da don Girolamo Caracciolo. Al centro, nella nicchia, è posta la Madonna del Rosario, rappresentata da una statua. È la stessa che ogni anno in settembre viene esposta in chiesa e portata in processione da una folla di fedeli. Intorno alla nicchia della Madonna vi è la cosiddetta P A L A”, quindici medaglioni dipinti da autore aninimo, rappresentanti la Via Crucis. Ai fianchi si ergono doppie file di colonne sovrastate da capitelli in stile barocco. Nella stessa cappella è conservata la famosa “N A C A”, Cristo Morto che viene portato in processione ogni Venerdì Santo. Vi si trovano ancora due dipinti ovoidali abbastanza grandi risalenti al 1834, realizzati per ordine del sacerdote Joannes Mazzuca, esecutore il pittore “F. Putto”. Uno rappresenta l’Eucarestia con le figure di San Domenico e di San Tommaso; l’altro reca anch’esso le immagini dei due santi. La cappella accoglieva una volta le donne, non ammesse ad assistere alle funzioni religiose nella vicina “Congrega del Rosario”. Altra cappella a mano destra per chi entra è quella più degna di nota. Padre Mannarino la cita come “cappella dell’oro” per le colonne di quel colore, quindi doveva già preesistere nel 1721. Ospita l’altare di San Giuseppe. Ai lati della Nicchia centrale con la statua del Santo, sono poste colonne tortili intarsiate nel legno e dipinte color oro. Il loro capitello è di stile barocco. Al di sopra vi è una trabeazione leggermente ricurva interrotta al centro, che rievoca lo stile rinascimentale presente in altre chiese. Riporta Don Domenico Sisca che tale cappella era di jus patronato della nobile famiglia dei Campitelli.